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lunedì 31 agosto 2015

Destini (I) di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 30/8/15


Quale fu il destino di personaggi che in un momento anteriore al 1959 occuparono posti di attualità nella vita cubana? Il tempo non passa invano e naturalmente, a questa data già la maggioranza di loro è morta. Ad ogni modo investigarli e seguire le loro piste non è sempre facile perché questa “celebrità” della quale godettero passò, in molti casi, al più assoluto degli anonimati.
In altre occasioni ho affrontato questo tema e lo faccio adesso, con molta dedicazione, spinto dalla richiesta di un lettore. Sarà, per forza, una relazione incompleta. Non sempre uno riesce a sapere dove sta o che successe a gente che occupò uno spazio nella cronaca sociale o nelle notizie degli avvenimenti politici.
Cominciamo dai presidenti.

Fra due città

Il colonnello Carlos Mendieta Montefur, presidente della Repubblica tra il gennaio 1934 e il dicembre 1935, morì all’Avana nel 1960. Risiedeva in Tercera, 1202 angolo 12, a Miramar, divenne famoso per il suo allevamento di galli da combattimento, i molto celebrati galli Mendieta.
Carlos M. Piedra, pensionato nel 1959 dal Potere Giudiziario morì, già novantenne, nella sua casa al n. 661 della calle D tra 27 e 29 nel Vedado. Non giunse alla prima magistratura, fu al punto di raggiungerla  il 1° gennaio dell’anno menzionato, ma la Sala di Governo del Tribunale Supremo si rifiutò di prendergli il giuramento e accettò la designazione, fatta dalla Sierra Maestra, del pure magistrato Manuel Urrutia Lleó. Mesi dopo, in luglio, Urrutia si dimetteva. Cercò asilo nell’Ambasciata del Venezuela e cambiò per quella del Messico quando il Paese sudamericano ruppe le relazioni con Cuba. Morì negli Stati Uniti.
Carlos Prío Socarrás (74 anni) si suicidò nel 1977 nella sua casa in Florida. Fu inumato nel cimitero di Woodland Park, di Miami, dove riposano i resti degli ex presidenti cubani Carlos Hevia e Gerardo Machado. Sua moglie, Mary Tarrero che viveva ritirata dalla morte di Prío, morì nel settembre 2010.
Ramón Grau San Martín (87 anni), morì all’Avana il 28 giugno del 1969. Poco prima della sua morte, in questo stesso quotidiano, il giornalista Mario Kuchílan scriveva: “Ancora oggi vive nel suo ‘guscio’ della Quinta Avenida e si mantiene lucido e ostinato. Grau continua ad essere uguale. Lo stesso vecchio indeciso di sempre; non si riabilita né se ne va”.

Militari e ministri

Il dittatore Fulgencio Batista che usurpò il potere con un colpo di Stato nel 1952, impiantando un regime sanguinario, morì a Marbella in Spagna nel 1973, a 72 anni d’età. Si trovava riunito con la sua famiglia quando soffrí di un infarto fulminante. È sepolto a Madrid, nella stessa fossa dove inumarono suo figlio Carlos Manuel che morì diciannovenne. Nella nicchia attigua furono inumati Emelina Miranda, sua suocera e il colonnello Hernández Volta, uno dei suoi aiutanti. Marta Fernández Miranda, la sua vedova, morì nel 2006. Molto prima, il 19 giugno del 1993, era morta Elisa Godínez, la prima moglie di Batista.
Il generale di brigata Roberto Fernández Miranda, capo del Reggimento 7, Máximo Gómez, con sede alla Cabaña e direttore generale degli Sport, dette a conoscere le sue memorie col titolo di ‘Le mie relazioni col generale Batista’. Era fratello di Marta. “Panchin” Batista, fratello del dittatore e governatore dell’Avana fino al 31 dicembre del 1958, si vide obbligato a guadagnarsi la vita a Miami come custode. Andrés Rivero Agüero, il presidente eletto nelle elezioni del novembre 1958, perse in un cattivo investimento quello che riuscì a portare fuori da Cuba e viveva delle entrate di sua moglie che lavorava come parrucchiera. Anselmo Alliegro, presidente del Senato, possedeva a Miami, dal suo esilio del 1944, case d’appartamento e altri beni che gli permisero di vivere con una certa agiatezza. Morì il 22 novembre del 1961.
Anche il senatore César Camacho Covani, perisidente del Partito Liberale nell’antica provincia di oriente aveva lì una casa propria. Ministro della Giustizia del batistato, “Lulú” Camacho, come veniva chiamato, si credette obbligato a prendere il cammino dell’esilio. Cercò riparo nell’ambasciata spagnola e dopo aver passato diversi giorni in un’installazione di questa sede diplomatica, dovette affrontare la circostanza che la Spagna non gli concedeva l’asilo politico. Tornò quindi a casa sua, un appartamento contrassegnato dal numero 255 della calle N. Ebbe fortuna. Una mattina si svegliò con la notizia che un appartamento ai piani superiori era stato affittato come annesso all’ambasciata del Brasile. Fece la valigia e dovette solo salire le scale per trovare asilo. Justo Luis del Pozo, il sindaco dell’Avana, fece la stessa operazione, ma al contrario. Saputo della fuga di Batista prese l’ascensore al nono piano dell’edificio dove abitava. Giunse al secondo piano e si trovava già nell’ambasciata del Paraguay.

Il gran colpevole

Il sinistro Julio Laurent, del Servizio di Intelligenza Navale – l’uomo che assassinò Jorge Agostini in piena strada, di fronte all’ospedale Angloamericano del Vedado e davanti agli abitanti della zona e ultimò anche Lydia e Clodomira – lavorò a Miami come addetto al ricevimento in un albergo di quarta categoria. Il non meno terribile tenente colonnello Irenaldo García Báez, secondo capo del Servizio di Intelligenza Militare, assassino di Oscar Lucero e di decine di giovani rivoluzionari, ancora nel 1980 lavorava come insegnante in una scuola media di West Palm Beach.
Il brigadiere Dámaso Sogo Hernández, uscì da Cuba il 1° gennaio del 1959 e si stabilì a Miami, dove morì, come barbiere. Era l’ufficiale superiore di Columbia – aveva allora i gradi da capitano – quando ci fu il colpo di Stato del 10 marzo 1952 e fu l’uomo che aprì a Batista le porte del campo, cosa che gli valse la promozione a colonnello. Un altro dei grandi colpevoli del “golpe’ che aiutò a consolidare col suo nome, prestigio e autorità, il maggior generale Eulogio A. Cantillo Porras fu condannato, nel 1959, per la sua partecipazione in quel fatto. Negli Stati Uniti si vincolò a piani controrivoluzionari, in particolare al cosiddetto Piano Torriente. Morì dimenticato da amici e nemici.
Farncisco Tabernilla Dolz, generale a 5 stelle e capo dello Stato maggiore Congiunto, non vinse una sola scaramuccia ai barbudos. Però usci ugualmente da Cuba, nel 1959. Non si stancò di incolpare Batista di tutte le disgrazie dell’Esercito, oltre alle proprie. Lui e suo figlio giunsero a pagare il giornalista José Suárez Nuñez, batistiano fino all’ultima ora, un libro contro Batista, Il gran colpevole. Una tribù completa si arricchì grazie ai propri alti gradi nelle forze armate e agli affari di contrabbando che operavano con arei dell’aviazione militare cubana. Uno dei rimproveri che il vecchio Pancho fa al suo antico capo è per i soldi che non è riuscito a far uscire da Cuba. Lo stesso reclamo che gli farà l’ex vice presidente Guas Inclán che lo accusa di aver condotto all’indigenza, con la sua fuga la “classe politica” cubana.
Lo scriba non crede completamente ai ‘soldini’ lasciati a Cuba, ebbene, il generale Francisco Tabernilla Palmero - alias Silito, figlio del vecchio Pancho – come segretario militare di Batista, seppe della fuga con sufficiente anticipo. Egli copiò in foglietti color viola i nomi che il dittatore gli dettò perché fossero pronti all’ora della partenza.
Capo del Reggimento Misto di Carri Armati 10 di Marzo e della Divisione di fanteria Alejandro Rodríguez, con sede nella Città Militare di Columbia, il generale Silito, diresse una scuola militare in Florida.
Il colonnello Irenaldo García Báez dice in un’intervista pubblicata sulla rivista Réplica di Miami, nel febbraio 1972: “Però gli si è stretta la cintura e lavora alla pelota basca e come bookkeper (contabile) in una fabbrica di mobili”.
Nella stessa intervista Irenaldo rivela che alla fine della notte del 31 dicembre del 1958, per ordine di Batista, tornò alla sede del Servizio di Intelligenza Militare e bruciò tutte le carte compromettenti, sopratutto quelle che lasciavano costanza dei nomi degli agenti batistiani infiltrati in partiti d’opposizione e organizzazioni rivoluzionarie. Tornò alla Città Militare e nell’ufficio di Silito coincise col generale Cantillo.
Asserisce: “Quando mi vide, mi dette un abbraccio e mi disse: ‘La guerra è finita. Finalmente...Grazie a Dio ci sarà tranquillità’. Mi interessai per sapere la nostra situazione ed egli spiegò: ‘Voi partite per l’estero e fra qualche mese tornate. Vi saranno rispettate le proprietà e quando tornerete vi ritirerete a vivere felici’ “.
Il colonnello Florentino Rosell y Leyva era il capo del genio dell’Esercito e pertanto del treno blindato. Morì a Miami enormemente ricco. Il generale Alberto Ríos Chaviano, il macellaio della caserma Moncada nel 1953 e cognato del vecchio Tabernilla, uscì da Cuba giorni prima della caduta della tirannia, quando Batista lo destituì del suo comando militare a Las Villas e lo designò come addetto militare nella Repubblica Dominicana. Sconfitta la dittatura, vi si stabilì come agricoltore. Ramón Tabunda, un cubano che se ne andò dopo, di Caibarién, e che giunse a convertirsi in “re della carne” in questo Paese caraibico, aveva una pessima opinione del militare. Diceva: “Imbroglione. Cattiva persona, cattivo amico, cattivo commerciante. Gli compravi 500 capi e se poteva te ne rubava dieci. Pensai in boicottarlo perché non potesse disfarsi delle sue bestie nemmeno regalandole, ma per fortuna, morì”.
Il colonnello Rego Rubido, l’uomo che arrese la piazza militare di Santiago de Cuba all’Esercito di Liberazione e funse, riconosciuto dalla guerriglia, come ultimo capo dell’Esercito, uscì da Cuba nel 1959 per occupare, su designazione del Governo Rivoluzionario, un incarico diplomatico in Brasile. Disertò e installato a Portorico, vendette guarapo (succo di canna da zucchero, n.d.t.) con una macchina per spremere ambulante per le strade di San Juan, fino a che il colonnello Ramón Barquín lo riscattò e lo portò a lavorare nella sua scuola.

Coda


La lista non finisce qua, ma lo spazio sì. In una prossima edizione lo scriba affronterà il finale del colonnello Orlando Piedra, capo del Buró di investigazioni, morto in conseguenza dei colpi che gli dettero nell’ospizio dei vecchi dove si trovava recluso. Tratterà di altre figure civili e militari del batistato, come Santiago Rey e Guillermo de Zéndegui e dei brigadieri generali Hernando Hernández e Julio Sánchez Gómez, fra gli altri. E anche di persone che non ebbero niente a che vedere con Batista: politici come l’ex candidato presidenziale Carlos Màrquez Sterling e l’ex senatore Emilio (Millo) Ochoa che poté essere presidente di Cuba e fu tassista e fattorino a Miami; un uomo d’azione come Mario Salabarría protagonista, nel 1947, del massacro di Orfilia: una donna di società come la contessa di Revilla Camargo e uomini d’impresa come Julio Lobo. (Continua) 

Destinos (I)
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
29 de Agosto del 2015 20:41:55 CDT

¿Cuál fue el destino de personajes que en un momento anterior a 1959
ocuparon planos de actualidad en la vida cubana? El tiempo no
transcurre en balde y, por supuesto, a estas alturas ya murió la
mayoría de ellos. De todas formas, rastrearlos y seguir sus pistas no
siempre es fácil porque esa “celebridad” de la que disfrutaron pasó,
en muchos casos, al más absoluto de los anonimatos.
En otras ocasiones he abordado este tema y lo hago ahora, con muchas
adiciones, compulsado por la solicitud de un lector. Será, por fuerza,
una relación incompleta. No siempre logra uno enterarse de dónde está
o qué se hizo gente que un día ocupó espacio en la crónica social o en
las noticias del acontecer político.
Empecemos por los presidentes.

Entre dos ciudades

El coronel Carlos Mendieta Montefur, presidente de la República entre

enero de 1934 y diciembre de 1935, murió en La Habana, en 1960.
Residía en Tercera, 1202 equina a 12, en Miramar, y se hizo famoso por
su cría de gallos de pelea, los muy celebrados gallos Mendieta.
Carlos M. Piedra, jubilado en 1959 del Poder Judicial, falleció, ya
nonagenario, en su casa No. 661 de la calle D, entre 27 y 29, en el
Vedado. No llegó a la primera magistratura; estuvo, sí, a punto de
alcanzarla el 1ro. de enero del año mencionado, pero la Sala de
Gobierno del Tribunal Supremo se negó a tomarle juramento y aceptó la
designación hecha en la Sierra Maestra del también magistrado Manuel
Urrutia Lleó. Meses después, en julio, renunciaba Urrutia. Buscó asilo
en la Embajada de Venezuela y pasó a la de México cuando el país
sudamericano rompió relaciones con Cuba. Murió en Estados Unidos.
Carlos Prío Socarrás (74 años) se suicidó en 1977 en su casa de la
Florida. Fue inhumado en el cementerio de Woodland Park, de Miami,
donde también reposan los restos de los ex presidentes cubanos Carlos
Hevia y Gerardo Machado. Su esposa, Mary Tarrero, quien vivía retirada
desde la muerte de Prío, murió en septiembre de 2010.
Ramón Grau San Martín (87 años) falleció en La Habana el 28 de junio
de 1969. Poco antes de su muerte escribía en este mismo diario el
periodista Mario Kuchilán: “Aún hoy vive en su “choza” de la Quinta
Avenida y se mantiene lúcido y empecinado. Grau sigue igual. El mismo
viejo socarrón de siempre; no se rehabilita ni se va».

Militares y ministros

El dictador Fulgencio Batista, quien usurpó el poder mediante un golpe

de Estado en 1952 e implantaría un régimen sanguinario, murió en
Marbella, España, en 1973, a los 72 años de edad. Se hallaba reunido
con su familia cuando sufrió un infarto masivo. Está enterrado en
Madrid, en la misma fosa donde inhumaron a su hijo Carlos Manuel, que
falleció con 19. En la bóveda contigua fueron inhumados Emelina
Miranda, su suegra, y el coronel Hernández Volta, uno de sus
ayudantes. Marta Fernández Miranda, su viuda, murió en el 2006. Mucho
antes, el 19 de junio de 1993, había muerto Elisa Godínez, la primera
esposa de Batista.
El general de brigada Roberto Fernández Miranda, jefe del Regimiento
7, Máximo Gómez, con sede en La Cabaña, y director general de
Deportes, dio a conocer sus memorias bajo el título de Mis relaciones
con el general Batista. Era hermano de Marta. “Panchín” Batista,
hermano del dictador y gobernador de La Habana hasta el 31 de
diciembre de 1958, se vio obligado a ganarse la vida en Miami como
sereno. Andrés Rivero Agüero, el presidente electo en los comicios de
noviembre del 58, perdió en una mala inversión lo que logró sacar de
Cuba, y vivía de las entradas de su esposa, quien trabajaba como
peluquera. Anselmo Alliegro, presidente del Senado, poseía en Miami,
desde su exilio de 1944, casas de apartamentos y otros bienes que le
permitieron vivir con cierta holgura. Murió el 22 de noviembre de
1961.
Casa propia también tenía allí el senador César Camacho Covani,
presidente del Partido Liberal en la antigua provincia de Oriente.
Ministro de Justicia en el batistato, “Lulú”  Camacho, como le
llamaban, se creyó obligado a tomar el camino del exilio. Buscó amparo
en la Embajada española y luego de pasar varios días en una
instalación de esa sede diplomática, tuvo que enfrentar la
circunstancia de que España no concedía asilo político. Volvió
entonces a su casa, un apartamento del edificio marcado con el número
255 de la calle N. Tuvo suerte. Una mañana amaneció con la noticia de
que el apartamento de los altos había sido alquilado como un anexo de
la Embajada de Brasil.  Hizo su maleta y solo tuvo que subir la
escalera para encontrar asilo. Justo Luis del Pozo, el alcalde de La
Habana, hizo la misma operación, pero al revés. Enterado de la fuga de
Batista, tomó el ascensor en el noveno piso del edificio que habitaba.
Llegó al segundo piso y estaba ya en la Embajada de Paraguay.

El gran culpable

El siniestro Julio Laurent, del Servicio de Inteligencia Naval —el
hombre que asesinó a Jorge Agostini en plena calle, frente al hospital
Angloamericano del Vedado y a la vista de los vecinos, y ultimó,
asimismo, a Lydia y Clodomira—, trabajó en Miami como carpetero de un
hotel de cuarta categoría. Y el no menos terrible teniente coronel
Irenaldo García Báez, segundo jefe del Servicio de Inteligencia
Militar y asesino de Oscar Lucero y de decenas de jóvenes
revolucionarios, todavía en los años 80 laboraba como profesor en una
escuela de segunda enseñanza, en West Palm Beach.
El brigadier Dámaso Sogo Hernández salió de Cuba el 1ro. de enero de
1959 y se estableció en Miami, donde murió, como barbero. Era el
oficial superior de Columbia —tenía entonces grados de capitán— cuando
el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952 y fue el hombre que abrió a
Batista las puertas del campamento, lo que le valió el ascenso a
coronel. Otro de los grandes culpables del zarpazo, que ayudó a
consolidar con su nombre, prestigio y autoridad, el mayor general
Eulogio A. Cantillo Porras, fue condenado, en 1959, por su
participación en ese suceso. En Estados Unidos se vinculó a planes
contrarrevolucionarios, en particular al llamado Plan Torriente. Murió
olvidado por amigos y enemigos.
Francisco Tabernilla Dolz, general de cinco estrellas y jefe del
Estado Mayor Conjunto, no le ganó una sola escaramuza  a los barbudos.
Pero no más salió de Cuba, en 1959, no se cansó de culpar a Batista de
todas las desgracias del Ejército, además de las propias. Él y sus
hijos llegaron a pagar al periodista José Suárez Núñez, batistiano
hasta la víspera, un libro contra Batista, El gran culpable. Toda una
tribu que se enriqueció gracias a sus altos grados en las fuerzas
armadas y al negocio de contrabando que operaban en naves de la fuerza
aérea cubana. Uno de los reproches que el viejo Pancho hace a su
antiguo jefe es el dinero que no pudo sacar de Cuba. El mismo reclamo
que le hará el ex vicepresidente Guas Inclán, quien lo acusa de haber
llevado a la indigencia, con su fuga, a la “clase política” cubana.
El escribidor no cree del todo lo de la platica dejada en Cuba, pues
el general de brigada Francisco Tabernilla Palmero  —alias Silito,
hijo del viejo Pancho—, como secretario militar de Batista, supo de la
fuga con suficiente antelación. Él copió en unas hojitas color violeta
los nombres que el dictador le dictó para que estuvieran listos a la
hora de la partida.
Jefe del Regimiento Mixto de Tanques 10 de Marzo y de la División de
Infantería Alejandro Rodríguez, con sede en la Ciudad Militar de
Columbia, el general Silito dirigió una escuela militar en la Florida.
Dice el coronel Irenaldo García Báez en una entrevista publicada en la
revista Réplica, de Miami, en febrero de 1972: “Pero se le apretó el
cuadro y trabaja en el jai alai y como bookkeeper (contador) en una
fábrica de muebles”.
En la misma entrevista, Irenaldo revela que ya en los finales de la
noche del 31 de diciembre de 1958, por orden de Batista, volvió a la
sede del Servicio de Inteligencia Militar y quemó todos los papeles
comprometedores, sobre todo aquellos que dejaban constancia de los
nombres de los agentes batistianos infiltrados en partidos
oposicionistas y  organizaciones revolucionarias. Regresó a la Ciudad
Militar y en la oficina de Silito coincidió con el general Cantillo.
Asegura: “Cuando me vio, me dio un abrazo y me dijo: “La guerra
terminó. Al fin… Gracias a Dios habrá tranquilidad”. Me interesé por
conocer nuestra situación, y él explicó: “Ustedes marchan al
extranjero y en meses regresan. Se les respetarán propiedades y cuando
regresen se retiran y a vivir felices”.
El coronel Florentino Rosell y Leyva era el jefe de la Ingeniería del
Ejército y, por tanto, del tren blindado. Murió en Miami enormemente
rico. El general Alberto Ríos Chaviano, el carnicero del cuartel
Moncada en 1953 y concuño del viejo Tabernilla, salió de Cuba días
antes de la caída de la tiranía, cuando Batista lo destituyó de su
mando militar en Las Villas y lo designó agregado militar en la
República Dominicana. Derrocada la dictadura, se estableció allí como
ganadero. Ramón Tabunda, un cubano que se fue después, de Caibarién, y
que llegó a convertirse en el “zar de la carne” en ese país caribeño,
tenía una opinión pésima acerca del ex militar. Decía: Tramposo. Mala
persona, mal amigo, mal negociante. Le comprabas 500 cabezas y si
podía te robaba diez. Pensé en boicotearlo para que no pudiera salir
de sus reses ni regalándolas, pero, por suerte, murió».
El coronel Rego Rubido, el hombre que rindió la plaza militar de
Santiago de Cuba al Ejército Rebelde y fungió, reconocido por la
guerrilla, como último jefe del Ejército, salió de Cuba en 1959 para
ocupar, por designación del Gobierno Revolucionario, un cargo
diplomático en Brasil. Desertó e instalado en Puerto Rico, vendió
guarapo con un trapiche ambulante por las calles de San Juan, hasta
que el coronel  Ramón Barquín lo rescató y lo llevó a trabajar a su
escuela.

Coda

No acaba aquí la lista, pero sí el espacio. En una entrega posterior,
el escribidor abordará el final del coronel Orlando Piedra, jefe del
Buró de investigaciones, muerto a consecuencia de la golpiza que le
propinaron en el asilo de ancianos donde se hallaba recluido. Tratará
de otras figuras civiles y militares del batistato, como Santiago Rey
y Guillermo de Zéndegui, y los brigadieres generales Hernando
Hernández y Julio Sánchez Gómez, entre otros. Y también de personas
que nada tuvieron que ver con Batista: políticos como el ex candidato
presidencial Carlos Márquez Sterling y el ex senador Emilio (Millo)
Ochoa, que pudo haber sido presidente de Cuba y fue taxista y
mensajero en Miami; un hombre de acción como Mario Salabarría,
protagonista, en 1947, de la masacre de Orfila; una mujer de sociedad,
como la condesa de Revilla Camargo, y hombres de empresa como Julio
Lobo.
(Continuará)

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

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