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lunedì 24 agosto 2015

Esplorando Amargura, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 23/8/15

Amargura è una strada che corre tra due piazze, quella del Cristo e quella di San Francisco. O fra due ristoranti, La Maravilla, famoso negli anni ’50 per le sue bistecche con patate fritte e che già non esiste e il Café Oriente, locale di tendenza gourmet che si pregia di essere uno dei più lussuosi del’Avana e come ben sa lo scriba, anche uno dei più cari. Ma nessuno di loro apre la sua facciata su Amargura. La Maravilla lo fa su Villegas, mentre l’altro guarda la calle Oficios. Anche il palazzo del Marqués de San Felipe e Santiago de Bejucal, guarda su questa strada, oggi è un hotel con aspetto barocco, 27 camere e categoria 5 stelle.
Amargura non fu mai mecca del commercio o della moda. Non era nemmeno fra le strade che la gente scegliava per la passeggiata mattutina o serale, né il luogo ideale per vedere ed essere visti.. Non ci sono stati in essa caffè o bar degni di memoria, i suoi due hotel – Nueva Luz al 303 della via e La Unión, all’angolo con Cuba – non sono passate dall’essere installazioni di seconda categoria e alla lunga si decommercializzarono. Oggi sono due case di abitazione. La Unión fu, nei suoi tempi buoni, quello che si chiama va un albergo “decente”. Un edificio solido di cinque piani, in cemento, con 150 stanze e 150 bagni, dove il poeta spagnolo Federico García Lorca passó, nel 1930, la maggior parte del suo soggiorno cubano.
Amargura era un’altra cosa. Segnavas uno dei limiti del distretto bancario avanero, la nostra piccola Wall Street che si estendeva da O’ Reilly e giungeva fino a Mercaderes, fino a Compostela.

Banche e studi professionali

Lì avevano sede la Camera di Commercio della Repubblica di Cuba – nell’attuale hotel Raquel, all’angolo della calle San Ignacio – e la Compagnia Cubana di Prestiti – al 203 della via; edificio che adesso è sede dell’Istituto di Antropologia. Al numero 53 si trovava il Banco Continental Cubano che contava con 57 succursali e 1.169 dipendenti in tutta la Repubblica, in questo senso era la maggire delle entità bancarie nazionali e la quinta in quanto alla somma dei depositi che superavano i 92 milioni di pesos, equivalenti a dollari. La General Electric e la Esso Standard Oil figuravano, fra altre aziende, come suoi clienti principali.
All’angolo con Cuba e l’ingresso principale di questa strada, si trovava la Sede Nazionale della Lotteria, adesso ufficio centrale del Bandec e in quello di Aguiar, il Banco Gelats, il più antico fra i cubani – fu fondato nel 1876 – l’azienda bancaria preferita dal capitale spagnolo residente sull’Isola e che operava i conti della Chiesa Cattolica cubana e gli interessi del Vaticano a Cuba, così come il conto in dollari del commercio fra Cuba e la Spagna. Gelats che si impiccò nella sua casa di 17 angolo H nel Vedado, nel 1959, aveva anche come clienti la Compagnia Cubana di Elettricità e la Compagnia Cubana dei Telefoni ed era possessore di buoni del Governo nordamericano. Amargura era una strada di aziende e uffici di avvocati. Un conto frettoloso e possibilmente inesatto, nella guida del telefono del 1958, registra i nomi di 28 letterati residenti nella via; alcuni di lro molto conosciuti come Carlos Márquez Sterling, presidente della Commissione Costituente del 1940 e candidato alla presidenza della Repubblica nelle elezioni del novembre del 1958, al numero 357, e Pelayo Cuervo Navarro al numero 8, già introvabile nella strada.
Pelayo fu detenuto da agenti del Buró di Investigazioni della Polizia di Batista nel pomeriggio del 13 marzo 1957, dopo i fatti dell’assalto al Palazzo Presidenziale e apparve pestato e morto, il giorno seguente, nel Laguito Country Club avanero. Non ebbe nessuna implicazione in quel fatto, né era un elemento che si potesse classificare come sovversvivo. Per lui, la “soluzione cubana” passava dalla politica enon dalla rivoluzione. Era sì, una figura amata e rispettata ei un’enorme popolarità. Delegato alla convenzione costituente del 1940 e senatore della Repubblica da allora fino al 1952 quando Batista, dopo il colpo di Stato del 10 marzo, lasciò in sospeso il Congresso. Come presidente del Partito Ortodosso storico, Pelayo Cuervo era la personalità più distinta dell’opposizione politica cubana e una voce implacabile a difesa dell’economia nazionale e della tasca del cittadino cubano comune.
Dei 28 avvocati indicati, cinque avevano ufficio nell’edificio contrassegnato dal numero 103 della via, mentre altri 10 operavano i loro affari in quello dal numero 205, sede del Buffete Mendoza, uno dei più importanti e il più antico specializzato in questioni commerciali. Era stato fondato nel 1854 e fu pioniere nel dirigere la sua pratica professionale verso il mondo degli affari.

La Croce Verde

Nel suo libro La Habana: Apuntes históricos, Emilio Roig non indica il perché del nome di questa strada. Lo fa invece José María de la Torre nel suo libro Lo que fuimos y lo que somos o La Habana antigua y moderna, pubblicato nel 1857.
De la Torre scrfive che in tutti i pomeriggi di quaresima, usciva dal Terzo Ordine di San Francisco, una processione che nadava per questa strada fino alla chiesa del Cristo che era el Humilladero. Per la stessa ragione, si vedono strade con lo stesso nome in molti centri cristiani, riferisce il cronista, a imitazione di quello della Via Crucis di  Gerusalemme che si chiamò dell’Amarezza. Nella via c’erano croci per tutte le stagioni. Il terzo fratello D. Miguel de Castro Palomino y Borroto aveva devozione particolare e manteneva la dodicesima stagione nell’anno del 1749 e la adornava con un tappeto, due candelieri d’argento e un quadro di Gesù Crocificato.
Aggiunge José Marí de la Torre che Amargura si chiamò anche la strada della Cruz Verde che esisteva (ed esiste) all’angolo di Mercaderes. Da lì partiva la processione della via crucis. Fu residenza dei conti di Lagunillas e oggi ospita il Museo del Cioccolato che propone un percorso nella storia del cacao, la sua coltivazione, produzione e commercializzazione. D’altra parte, questo esercizio garantisce a chi lo visiti la possibilità di degustare una bevanda preparata alla maniera tradizionale e bon bon elaborati artigianalmente.
Il tratto di Amargura compreso fra le strade Villegas e Compostela – due isolati – si chiamò, afferma de la Torre, de las Piadosas Mujeres, perché nella casa all’angolo con Aguacate vivevano le beate Josefa e Petrona Urrutia che i venerdì illuminavano un bellissimo tabernacolo. La croce che esisteva in quest’angolo segnava, nella via crucis la stazione che corrispondeva alle donne pietose che accompagnarono Cristo al Calvario.
L’angolo di Compostela si chiamò Del Mallorquín, per Juan Pascual, un soggettto proveniente da Majorca che vi installò una farmacia, mentre all’angolo dei conti di San Felipe y Santiago fu conosciuta come quella di Menéndez per l’uomo che la fabbricò. Lì morì nel 1807 Joaquin de Santa cruz y Cárdenas, terzo conte di Jaruco e primo conte di Mopox, padre della contessa di Merlin. Fu, ai suoi tempi, l’uomo più ricco dell’Isola. Però era illuso e poco pratico. Sognava con grandi imprese e quasi tutte fracassarono, nonostante mancanse di scrupoli, il suo capitale decresceva e i suoi debiti aumentavano. Quando morì, lasciò a suo figlio l’immensa fortuna – per l’epoca – di nove milioni di pesos, condizionata da un debito di sette milioni che nel testamento era obbligato a onorare.

Gli amici del Paese

In Amargura quasi angolo San Ignacio ebbe la sua casa don Francisco de Arango e Parreño, il cosiddetto “statista senza stato”, eminenza grigia della saccarocarzia creola. Fu il primo dei nostri economisti; promosse l’introduzione di un’agricoltura moderna e auspiciò anche la costituzione dell Juna de Comercio e del Tribunal Mercantil.
Direttore della Sociedad Patriótica. Deputato a Cortes. Come Consejero de Indias, nel 1816 ottenne lo sblocco del tabacco e la libertà di commercio. Grazxie alla sua gestione, questa meraviglia che è il ghiaccio, fu introdotto a Cuba. Nel 1824 respinse la nomina di sovraintendente generale dell’Industria e a partire da lì passò i suoi anni finali allontanato dalla vita pubblica. Morì nel 1837.
La casa di questo esimio avanero, opportumente restaurata, la occupa, da poco tempo la Oficina del Historiador de la Ciudad. Al numero 66 della via ebbe sede la Sociedad Económica Amigos del País e in questo stesso luogo e durante una prima tappa, prima di traslocare alla Manzana de Gómez, funzionò la Institución Hispanocubana de Cultura. Fu una proposta di Fernando Ortiz alla giunta di governo degli Amici del Paese incamminata a incrementarele relazioni intellettuali tra Cuba, la Spagna e le nazioni hispanoamericane grazie all’interscambio di scienziati,scrittori, artisti e studenti.
Al numero 63, domicilio di Evaristo Estenoz, - un immobile che non esiste più – si fondò il 7 di agosto del 1998, il Partido Independiente de Color. Altro fatto che non può rimanere fuori da questo racconto. Dalla casermetta dei Pompieri del Commercio, sita nella calle San Ignacio, fecero una chiamata telefonica al secondo capo di questo corpo che risiedeva nella casa contrassegnata, oggi, dal numero 110 A della calle de la Amargura. È la prima chiamata telefonica in spagnolo che si registra nella storia. Nella calle de la Amargura viveva anche la protagonista di un fatto di sangue successo nel 1745, quando l’Avana era piccola. Lo raccoglie la cronaca avanera e forse è il fatto di sangue più antico che includa una donna.
Un’abitante fra le principali della città, María de Rojas, discendente da Rojas il Magnifico che accompagnò Velázquez nella colonizzazione e fu pertanto uno dei primi abitanti dell’Avana aveva relazione, con base matrimoniale, col capitano Diego de Hinojosa, del reggimento di Almanza. Di María, al capitano, interessavano solo i soldi e la posizione. La ragazza aveva ben poco di cui essere grata alla natura e alla sua bruttezza si aggiungeva il carattere: era cida, esplosiva, violenta e per colmo, gelosa. Non aveva giornate buone né notti tranquille da quando cominciò il suo fidanzamento. Immaginava continuamente il suo fidanzato fra le braccia di un’altra. E in ciò non era certo lontana la Rojas. C’era, nella vita del capitano, un’altra donna bella e allegra come la primavera. Aveva 20 anni e anche se ava suinato a lungo i campanelli non nascondeva già la sua passione per don Diego.
Si chiamava Cándida, sebbene non conoscesse la candidezza. Il sotterfugio di suo marito non tardò molto a giungere all’orecchio di María. Conobbe colei che le rubava il suo cavaliere e in una scena burrascosa, gettò in faccia al capitano la sua perfidia. Don Diego buttò tutto in scherzo, senza sapere che non c’è scherzo che tenga per una donna gelosa.
Una mattina, all’uscita della chiesa di San Augustín, la Rojas aspettava Cándida con un revolver carico a sale e punto al viso della ragazza. Nel trascorso dei giorni lo scandalo si placò fino a che le due donne tornarono a incontrarsi di nuovo di fronte alla chiesa. Cándida ringraziò quindi per i nei che la polvere dello sparo lasciò sul suo viso. “Don Diego dice che adesso sembro più bella di prima”, le disse e ribatté: “Entri nel tempio e chieda che don Diego la ami; lo chieda a Santa Rita è l’avvocatessa dell’impossibile...”

Cándida volse le spalle per entrare in chiesa, ma non lo potè fare. Suonò un sparo e cadde morta sul colpo. Questa volta la Rojas le aveva sparato con proiettili veri.


Explorando Amargura

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
22 de Agosto del 2015

Amargura es una calle que corre entre dos plazas, la del Cristo y la de San Francisco. O entre dos restaurantes, La Maravilla, famoso, en los años 50,  por sus bistec con papas fritas, que ya no existe, y el Café del Oriente, establecimiento de tendencia gourmet que se precia de ser uno de los más lujosos de La Habana, y, bien lo sabe el escribidor, de los más caros también. Pero ninguno de ellos abre su fachada sobre Amargura. La Maravilla lo hace sobre Villegas, mientras que el otro mira hacia la calle Oficios. También mira hacia esa calle el Palacio del Marqués de San Felipe y Santiago de Bejucal, hoy un hotel con portada barroca, 27 habitaciones y categoría de cinco estrellas.
Amargura no fue nunca meca del comercio ni de la moda. Tampoco era de las calles que la gente escogía para el paseo matinal o vespertino, ni el sitio ideal para ver y dejarse ver. No hubo  en ella café ni bares dignos de memoria, y sus dos hoteles —Nueva Luz, en el 303 de la calle,  y La Unión, en la esquina con Cuba— no pasaron de ser instalaciones de segunda y a la larga se descomercializaron: son hoy casas de vecindad. La Unión fue, en sus buenos tiempos, lo que se llamaba un hotel “decente”. Un  edificio sólido, de cinco plantas, en chaflán, con 150 habitaciones y 150 baños, donde el poeta español Federico García Lorca pasó, en 1930, la mayor parte de su estancia cubana.
Amargura era otra cosa. Marcaba uno de los límites del distrito bancario habanero, nuestro pequeño  Wall Street, que se extendía desde O’Reilly y abarcaba desde Mercaderes hasta Compostela.

Bancos y bufetes

Allí encontraban asiento la Cámara de Comercio de la República de Cuba —en el actual Hotel Raquel, en la esquina con San Ignacio— y la Compañía Cubana de Fianzas —en el 203 de la calle; edificio que sirve ahora de sede al Instituto de Antropología. En el número 53 se hallaba el Banco Continental Cubano, que contaba con 57 sucursales y 1 169 empleados en toda la República, en ese sentido la mayor de todas las entidades bancarias nacionales, y la quinta en cuanto al monto de sus depósitos que superaban los 92 millones de pesos equivalentes a dólares. La General Electric y la Esso Satndart Oil figuraban, entre otras empresas, como sus clientes principales.
En la esquina con Cuba, y entrada principal por esta calle, se hallaba la Renta Nacional de Lotería, ahora oficina central del Bandec, y en la de Aguiar, el Banco Gelats, el más antiguo entre los cubanos —fue fundado en 1876—, la firma bancaria preferida por el capital español radicado en la Isla y que operaba las cuentas de la Iglesia Católica cubana y los intereses del Vaticano en Cuba, así como la cuenta en dólares del comercio entre Cuba y España. Gelats, que se ahorcó en su casa de 17 esquina a H, en el Vedado, en 1959, tenía también como  clientes a la Compañía Cubana de Electricidad y a la Compañía Cubana de Teléfonos y era tenedor de bonos del Gobierno norteamericano.
Amargura era una calle de firmas y oficinas de abogados. Un conteo apresurado y posiblemente inexacto, en el Directorio Telefónico de 1958, registra los nombres de 28 letrados asentados en esa calle; algunos de ellos tan conocidos como Carlos Márquez Sterling, presidente de la convención constituyente de 1940 y candidato a la presidencia de la República en las elecciones de   noviembre de 1958, en el número 357, y Pelayo Cuervo Navarro, en un ya inencontrable número 8 de la calle.
Pelayo fue detenido por agentes del Buró de Investigaciones de la Policía de Batista en la tarde del 13 de marzo de 1957, tras los sucesos del asalto al Palacio Presidencial y apareció golpeado y muerto a la mañana siguiente en el Laguito del Country Club habanero. No tuvo implicación alguna en ese hecho, ni era un elemento que pudiera tildarse de subversivo. Para él, la “solución cubana” pasaba por la política y no por la revolución. Era, sí, una figura querida y respetada y de una popularidad enorme. Delegado a la convención constituyente de 1940 y senador de la República desde entonces y hasta 1952 cuando Batista, tras el golpe de Estado del 10 de marzo, dejó en suspenso el Congreso. Como presidente del Partido Ortodoxo histórico, Pelayo Cuervo era la personalidad más distinguida de la oposición política cubana y una voz implacable en defensa de la economía nacional y el bolsillo del ciudadano de a pie.
De los 28 abogados consignados, cinco tenían oficinas en el edificio marcado con el número 103 de la calle, en tanto que otros diez despachaban sus asuntos en el del número 205, sede del Bufete Mendoza, uno de los más importantes y el más antiguo especializado en asuntos mercantiles. Había sido fundado en 1854 y fue pionero en dirigir su práctica profesional hacia el mundo de los negocios.

La Cruz Verde

En su libro La Habana: Apuntes históricos, Emilio Roig no consigna el porqué del nombre de esta calle. Sí lo hace José María de la Torre en su libro Lo que fuimos y lo que somos o La Habana antigua y moderna, publicado en 1857.
Escribe De la Torre que en todas las tardes de cuaresma salía de la Tercera Orden de San Francisco una procesión que iba por esa calle hasta la iglesia del Cristo, que era el Humilladero. Por la misma razón, se ven calles con igual nombre en muchas poblaciones cristianas, refiere el cronista, a imitación de la del vía crucis de Jerusalén, que se llamó de la Amargura. En la calle había cruces para cada estación. El hermano tercero D. Miguel de Castro Palomino y Borroto tenía particular devoción y costeaba la duodécima estación por los años de 1749, y la adornaba con una alfombra, dos candeleros de plata y un cuadro de Jesús Crucificado.
Añade José María de la Torre que Amargura se llamó también calle de la Cruz Verde, por la que existía (y existe) en la esquina con Mercaderes. De ahí partía la procesión del vía crucis. Fue residencia de los condes de Lagunillas y da albergue hoy al Museo del Chocolate que propone un recorrido por la historia del cacao, su cultivo, producción y comercialización. Por otra parte, este establecimiento asegura a quien lo visite la posibilidad de degustar una bebida preparada a la manera tradicional y bombones elaborados artesanalmente.
El tramo de Amargura comprendido entre las calles de Villegas y Compostela —dos cuadras— se llamó, afirma De la Torre, de las Piadosas Mujeres, porque en la casa de la esquina con Aguacate vivían las beatas Josefa y Petrona Urrutia que alumbraban los viernes un hermoso Custodio. La cruz que existía en esa esquina marcaba en el vía crucis la estación que correspondía a las piadosas mujeres que acompañaron a Cristo en su calvario.
La esquina de Compostela se llamó Del Mallorquín, por Juan Pascual, un sujeto proveniente de Mallorca que instaló allí una botica, mientras que la esquina de la residencia de los condes de San Felipe y Santiago fue conocida como la de Menéndez, por el hombre que la fabricó. Allí murió en 1807 Joaquín de Santa Cruz y Cárdenas, tercer conde de Jaruco y primer conde de Mopox, padre de la condesa de Merlin. Fue, en su tiempo, el hombre más rico de la Isla. Pero era iluso y poco práctico. Soñaba con grandes empresas y casi todas fracasaron; pese a que carecía de escrúpulos, su capital decrecía y sus deudas aumentaban. Cuando falleció, legó a su hijo la inmensa fortuna —para la época— de nueve millones de pesos, condicionada por una deuda de siete millones que en el testamento le obligaba a honrar.

Los Amigos del País

En Amargura casi esquina a San Ignacio tuvo su casa don Francisco de Arango y Parreño, el llamado “estadista sin Estado”, eminencia gris de la sacarocracia criolla. Fue el primero de nuestros economistas; promovió la introducción de una agricultura moderna y auspició asimismo la constitución de la Junta de Comercio y el Tribunal Mercantil. Director de la Sociedad Patriótica. Diputado a Cortes. Como Consejero de Indias, en 1816 logró el desestanco del tabaco y la libertad de comercio. Gracias a su gestión, esa maravilla que es el hielo fue introducido en Cuba. En 1824 rechazó el nombramiento de superintendente general de Hacienda y a partir de ahí pasó sus años finales alejado de la vida pública. Falleció  en 1837.
La casa de este esclarecido habanero, convenientemente restaurada, la ocupa desde hace poco tiempo la Oficina del Historiador de la Ciudad. En el número 66 de la calle radicó la  sede de la Sociedad Económica de Amigos del País, y en ese mismo sitio y durante una primera etapa y antes de trasladarse a la Manzana de Gómez, funcionó la Institución Hispanocubana de Cultura. Fue una propuesta de Fernando Ortiz en la junta de gobierno de los Amigos del País encaminada a incrementar las relaciones intelectuales entre Cuba, España y las naciones hispanoamericanas gracias al intercambio de científicos, escritores, artistas y estudiantes.
En el número 63, domicilio de Evaristo Estenoz, —un inmueble que ya no existe— se fundó el 7 de agosto de 1998, el Partido Independiente de Color. Otro hecho no puede quedar fuera de este recuento. Desde el cuartelillo de los Bomberos del Comercio, sito en la calle San Ignacio, hicieron una llamada telefónica al segundo jefe de ese cuerpo que residía en la casa marcada  hoy con el número 110 A de la calle Amargura. Es la primera llamada telefónica en español que se registra en la historia.
También en la calle Amargura vivía la protagonista de un suceso de sangre ocurrido en 1745, cuando La Habana era chiquita. Lo recoge la crónica habanera y quizá sea el hecho de sangre más antiguo que involucre a una mujer.
Una vecina principal de la villa, María de Rojas, descendiente de Rojas el Magnífico, que acompañó a Velásquez en la colonización y fue, por tanto, uno de los primeros vecinos de La Habana, llevaba relaciones, sobre la base del matrimonio, con el capitán Diego de Hinojosa, del regimiento de Almanza.  De María, al capitán solo le interesaban el dinero y la posición. Tenía la muchacha muy poco que agradecer a la naturaleza, y a su fealdad se añadía el carácter: era ácida, explosiva, violenta y, para colmo, celosa. No tenía día bueno ni noche tranquila desde que empezó su noviazgo. Imaginaba continuamente a su novio en brazos de otra. En eso, en verdad, no andaba desencaminaba la Rojas. Había en la vida del capitán otra mujer, linda y alegre como la primavera. Tenía 20 años de edad y aunque mucho había sonado ya los cascabeles no ocultaba su pasión por don Diego. Se llamaba Cándida, si bien no conocía la candidez.  No tardó en llegar a oídos de María el trapicheo de su prometido. Conoció a la que le robaba a su galán, y, en una escena borrascosa, echó en cara al capitán su perfidia. Don Diego lo tiró todo a broma, sin saber que no hay broma que valga con una mujer celosa.
Una mañana, a la salida de la iglesia de San Agustín, la Rojas esperaba a Cándida con un revólver cargado de sal y apuntó al rostro de la muchacha. El transcurrir de los días aplacó el escándalo antes de que las dos mujeres volvieran a encontrarse otra vez frente a la iglesia. Cándida le dio entonces las gracias por los lunares que la pólvora del pistoletazo dejó en su rostro. ”Dice don Diego que ahora luzco más linda que antes”, le dijo y la machacó: “Entre al templo y pida que don Diego la quiera; pídaselo a Santa Rita, es la abogada de los imposibles…”
Cándida volvió la espalda para entrar a la iglesia, pero no pudo hacerlo. Sonó un disparo y cayó muerta en el acto. Esa vez la Rojas le había disparado con balas de verdad.


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